Fumo, in Nuova Zelanda vietato ai nati dal 2009

Il Parlamento ha approvato in via definitiva la legge che vieta le sigarette a tutti i nati dopo il 1° gennaio 2009, per poi diventare Paese “smoke free” entro il 2025. E in Italia? Mentre si discute un disegno di legge per proibire il fumo nei dehors, si dimostra che il fumo inquina di più dello smog.

L’obiettivo della Nuova Zelanda è ambizioso, quasi irraggiungibile secondo gli standard italiani e, in genere, europei e occidentali: arrivare ad avere un Paese del tutto libero da sigarette & C. Il primo passo, però, è stato compiuto e ha già dell’incredibile: vietare il fumo a tutti i nati dopo il 2009, cioè coloro che oggi hanno 14 anni e che da marzo non potranno più comprare sigarette per tutta la vita.Al momento la legge messa a punto dal governo della premier, Jacinda Ardern, prevede multe salate per i trasgressori (nello specifico i rivenditori), ma non si limita a questo. È previsto, infatti, che il limite di età sia man mano esteso in modo da arrivare al 2025 con l'intera popolazione non fumatrice entro il 2025.

In Italia nuovo disegno di legge per vietare il fumo nei dehors

Certo, la Nuova Zelanda conta solo su 5 milioni di abitanti, rispetto agli oltre 60 dell’Italia, ma da noi sarebbe mai possibile arrivare a un divieto simile? «Anche l’Australia aveva annunciato qualche tempo fa provvedimenti simili. Ben venga, anche se da noi siamo molto lontani da obiettivi del genere. Per sdrammatizzare, credo che a breve non rimarrò disoccupato» commenta Roberto Boffi, responsabile di Pneumologia e del Centro Antifumo dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, mentre si prepara a un'audizione in Senato per supportare un ddl che vorrebbe estendere il divieto di fumo ai dehors, ossia agli spazi all’aperto di bar e ristoranti, attrezzati con tavolini.

«Australia e Nuova Zelanda hanno una cultura della prevenzione più evoluta rispetto alla nostra. Se riusciranno ad avere generazioni di non fumatori sarà un successo, mentre in Europa e Usa oggi non è pensabile, soprattutto perché cresce la commercializzazione di prodotti come il tabacco riscaldato, specie tra i giovani, senza norme specifiche e anche al chiuso» aggiunge l’esperto.

Paese “smoke free” entro il 2025

Al momento l'unico Paese al mondo dove il fumo è completamente vietato è il Bhutan, mentre in Nuova Zelanda si punta sui giovani: «Vogliamo fare in modo che i giovani non inizino mai a fumare, per questo abbiamo lanciato un’offensiva contro chi vende o fornisce tabacco ai giovani» ha detto Ayesha Verrall, ministra per la Sicurezza alimentare e ministro associato alla Salute della Nuova Zelanda. Per i trasgressori, ossia proprio chi vende sigarette, sono previste multe salate.L’idea è quella di agire per fasce d’età, mentre in Italia si segue la strada dei divieti di fumo per “luoghi”: in auto in presenza di bambini, nei pressi di scuole o ospedali, ma anche con iniziative come quella di Milano, dove le sigarette sono vietate da gennaio 2021 anche nei giardini pubblici e alle fermate dei mezzi.

Più inquinamento dal fumo che dal traffico

Come spiegato in Senato da Boffi, in Italia sono una ventina le spiagge “smoke free” da nord a sud. Ma ora un ddl bipartisan vorrebbe includere anche i dehors: «Il fumo di sigaretta è dannoso anche all’aperto, come dimostrato da una nostra ricerca condotta a Milano in via Fiori Chiari, dove l’aria è risultata più inquinata a causa dei fumatori ai tavolini o a passeggio, che non in via Pontaccio per il traffico. Vietare il fumo anche all’aperto è diventata un'urgenza, specie dopo la pandemia: come emerso da alcuni studi, il fumo potrebbe essere vettore del virus sars-Cov2.Una persona seduta a un tavolino vicino, che fuma e tossisce (e i fumatori in genere lo fanno di più) potrebbe esalare il virus, se positiva» spiega Boffi.

Meglio vietare o informare?

C’è chi obietta che i divieti non sono mai la soluzione migliore o che potrebbero alimentare un mercato clandestino: «Il mio mestiere non è vietare, io faccio il medico e ricercatore, ma penso che dove non arrivano l’informazione e la sensibilizzazione, siano necessarie maggiori sanzioni. La pandemia ce l'ha dimostrato anche con il Green Pass. Per qualcuno potrebbe servire una legge che impedisca quantomeno di far male agli altri col fumo passivo - spiega lo Pneumologo dell’Istituto dei Tumori di Milano – Occorrono soluzioni drastiche come divieto totale di fumo in certe aree, anche a fronte della nostra incapacità di rispondere alle campagne pubblicitarie sempre più invasive delle aziende del tabacco: loro agiscono, ad esempio, con strategie in grado di alimentare dipendenza con l’uso di additivi nelle sigarette oppure ricorrendo a influencer che hanno presa sui giovani, o ancora veicolando messaggi fuorvianti, come il fatto che il tabacco riscaldato non ha effetti cancerogeni, mentre non ci sono dimostrazioni a riguardo.I divieti, insomma, servono, anche se dovrebbero essere accompagnati da maggiori campagne informative sui ragazzi e di supporto per chi vuole smettere».

Il contrabbando, lo Stato e gli introiti del fumo

C’è anche chi osserva che una legge come quella della Nuova Zelanda sarebbe poco percorribile In Italia (come in altri Paesi occidentali) a causa degli ingenti introiti che lo Stato incassa dalla vendita delle sigarette e del tabacco in genere. C’è poi anche il problema del contrasto al contrabbando, che potrebbe aumentare di fronte a un divieto più esteso di fumo: «Credo che questo sia un falso problema. In Nuova Zelanda c’è chi si preoccupa del futuro dei lavoratori delle piantagioni di tabacco, ma basterebbe una riconversione verso altre attività. Anche il contrabbando può essere combattuto, esattamente come si fa in altri ambiti. La lotta al fumo è una priorità e anche la pandemia Covid ci ha mostrato che i fumatori corrono maggiori rischi, il resto passa in secondo piano – dice Boffi – Tralasciando l’esempio neozelandese, da noi si potrebbe fare di più, per esempio investiamo troppo poco nella prevenzione sui giovani, proprio mentre si abbassa l’età in cui si inizia a fumare e aumentano gli adolescenti fumatori, specie tra le ragazze.Io vado nelle scuole per attività di educazione e sensibilizzazione, ma potremmo fare di più come sistema sanitario».

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